Animale politico o politico animale? La bestialità è nella comunicazione

Tempo di lettura: 3 minuti

 

«Padania is not Italy». È una t-shirt che parla. Una t-shirt di qualche anno fa, quando il bacio al crocifisso durante il comizio non era ancora stato sdoganato e si brindava alla secessione con l’acqua sorgiva del sacro Po. Dalle ampolle ai rosari ne è passata di acqua sotto i ponti. La Lega Nord si è autonomamente castrata dell’identificazione geografica, ha abbandonato il verde del simbolo originario diventando blu ed è sbarcata in Sicilia. Ne conviene che, anche l’armadio del suo leader massimo, il giovane favoloso che un tempo sdrucciolava versi sui napoletani colerosi, ha dovuto allargarsi, accogliendo accanto alle felpe settentrionali anche quelle del sud, isole comprese, passando per il «BASTA €URO» e il «Renzi a casa». La politica, o quello che ne rimane, comunica con la base popolare attraverso magliette evocative, «Prima la regione X», in cui si è in aperta campagna elettorale, dunque sempre, fino alle divise. La sicurezza, urlata a gran voce, ripetuta come un mantra, assieme al mito dell’identità e dei valori, si palesa nello sfoggio dell’outfit giornaliero: dal giubbotto dei vigili del fuoco sino al cappello degli alpini, polizia e carabinieri compresi. Manca all’appello la guardia di finanza, pesano ancora tanto quei 49 milioni svaniti nel nulla, quei 49 milioni di cui non si può scrivere sul profilo social del Capitano senza nave, parole finite in mezzo alla lista nera di Matteo Salvini. Parole, soltanto parole, cantava Mina negli anni ’70. Parole su cui oggi, il non più giovane Matteo, costruisce la propria politica.

Esserci sempre, esserci ovunque. Parlare di tutto, di qualunque cosa. Di Nutella la mattina e di Zaniolo che si rompe il crociato la sera. Saturare, riempire. Essere di fronte alla tomba della Fallaci nell’anniversario della scomparsa e davanti ai microfoni di sky tg24, con un maglioncino dello stesso colore delle divise degli infermieri e le cuffiette poggiate a mo’ di stetoscopio, in piena pandemia. Esserci sempre, esserci ovunque. Anche al Papete, per poi sostituire gli occhiali da sole con quelli da intellettuale, la camicia al posto della felpa. Farlo al momento giusto. L’importante è esserci. Ma come viene veicolata l’onnipresenza? Attraverso i social. Più di 4 milioni e mezzo di fan su Facebook, altri 2 milioni su Instagram.

Disintermediazione. La politica fugge i talk show, dove, in mancanza di altro, vengono invitati decadenti opinionisti a declamare le proprie posizioni di pensiero. Gli animali politici, abbandonando ogni tipo di remora e razionalità, si concedono, quando ciò è possibile, ai salotti patinati dell’altrettanto patinata Barbara D’Urso. Per tutto il resto della giornata ci sono le stories efficacemente ideate dal tanto caro Mark, a cui non potremmo mai essere sufficientemente grati per questo.

Il linguaggio argomentativo, che rispetta il rapporto causa/effetto, il principio di non contraddizione, che chiarisce il perché delle scelte e delle promesse fatte seguendo un filo logico e non confondendo il tempo presente con un futuro desiderabile; viene abbandonato a favore di un linguaggio assertivo, fatto di spot e di simboli. Un linguaggio che afferma, dichiara, definisce, prevede, senza spiegare, facendo coincidere affermazione e fatto e puntando tutto sull’emotività. Pubblicità in fin dei conti. 

Le proposte e le paure si confondono, finendo nell’unico calderone degli hashtag, da #primagliitaliani a #bibbiano. La complessità del reale viene vanificata attraverso l’uso di spot facili da comprendere, messaggi che possano rimanere facilmente impressi nella testa di chi ascolta, affinché il cadetto possa poi diffondere il verbo: si pensi all’«aiutiamoli a casa loro» o ai «clandestini ladri e stupratori che arrivano in Italia grazie alle Ong complici degli scafisti e poi soggiornano negli alberghi a cinque stelle». Niente di più semplice in un Paese, il nostro, in cui il 28% della popolazione adulta è analfabeta funzionale. Dato che ci consacra come gli ultimi in Europa insieme alla Spagna.

I simboli semplificatori, coniugati alla paura di un nemico comune ed immaginario fanno il resto: «rubano il lavoro», «sono diversi». L’informazione viene così adottata solo se corrispondente alle tendenze già strutturate all’interno di un individuo, il web diviene, dunque, il luogo in cui cercare conferma ai propri iniziali pregiudizi. La polarizzazione è dietro l’angolo. In questo circuito chiuso, dove il conformismo sovrasta la razionalità, l’utente non può che trovare conferma dei propri schemi di pensiero, restando intrappolato in una camera di risonanza senza uscita in cui l’eco complottista diviene l’unica voce presente.

L’emotività, la pancia e non la ragione, divengono strumento di consenso. Non è più importante il programma, i suoi fini e i mezzi attraverso cui realizzarlo, ma il mito dell’uomo forte e il rito di consacrazione dello stesso. E, come nelle società arcaiche, lo stregone viene eretto a saggio del villaggio, lui lo sa e, per mantenere il ruolo acquisito, non può che continuare a distribuire intrugli d’aria fritta e di chissà quale altra acqua di quale altro fiume.

 

Potrebbero piacerti anche:

Altrove: in un altro luogo

7 e 40

bandiera ucraina

Disagio di pensiero

Fode. Ultima foglia d’autunno