Ristorante di Fiore, antichi sapori nel bosco di Montepiano

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Il nome

«Fiore? Il soprannome lasciatoci in eredità dal mio bisnonno. Una storia di boschi e di briganti». Il bambino che si perde sul monte dell’Impiso, siamo nel 1800, una brigantessa che lo riporta in paese e riconsegnandolo alla famiglia lo apostrofa così, “bello come un fiore”.

«Chiamare allo stesso modo l’attività che svolgiamo ormai dai tre generazioni voleva essere una sorta di ritorno alle origini, un omaggio a quello che siamo stati».

Ci troviamo nel bosco di Montepiano, una delle cerrete più belle della Basilicata, che si estende tra i 700 ed i 1.200 metri s.l.m. lungo il limite occidentale della provincia di Matera, a sud del comune di Accettura. A parlare è Massimo Varvarito: «Non so dire di preciso quando ho cominciato. Sono nato tra i rumori delle pentole e delle padelle, tra i profumi della cucina di mia nonna». Nonna Maria Rosaria che a 106 anni sta ancora lì a tirare la pasta.

Dalla prima alla terza generazione

Nel 1960 l’avvio della prima trattoria da parte dei nonni. A essere serviti solo prodotti provenienti dalla loro stessa azienda. È il padre Angelo a proseguire nell’86 con un nuovo ristorante, sempre all’interno del bosco. «Continuare rimanendo fedele all’idea iniziale, piatti semplici, della tradizione – spiega Varvarito – ma soprattutto guardare al ristorante come al naturale prolungamento dell’azienda agricola, e viceversa, destinando i prodotti aziendali interamente all’attività di ristorazione». Ortaggi, funghi, allevamento di suini. Produzione interna. Assicurazione e rassicurazione sulla certezza di ciò che si porta a tavola.

Strascinati con mollica fritta e peperoni cruschi del Ristorante di Fiore
Mollicata ai cruschi

Il risultato è un menù che, necessariamente, varia in base alla stagionalità. «Cerchiamo di conservare i sapori di un tempo». Dalla mollicata con i peperoni cruschi, servita tutto l’anno, al peperone “mbuttunat”, tipico piatto della stagione calda. I gesti sono quelli di sempre: il peperone svuotato e riempito nuovamente, questa volta, però, con mollica rafferma, prezzemolo, acciughina e un filo d’olio.

«Non ci siamo inventati nulla di nuovo – aggiunge Varvarito – il nostro compito è quello di ridare dignità alla cucina tradizionale. Facendola conoscere per quella che è: recupero, lotta allo spreco di qualsiasi risorsa».

“Conservare”

Allo stesso modo “conservare” si presenta come un’alternativa all’acquisto di prodotti non più di stagione. Le ricette sono sempre quelle di nonna Maria Rosaria. A partire dalle fave, fatte indurire sulla pianta, sbollentate con acqua e aceto e conservate sott’olio, con l’aggiunta di qualche fogliolina di menta.

Oppure le pere sott’aceto. Raccolte leggermente acerbe e conservate in una soluzione di acqua e aceto. «Attenzione – ammonisce Varvarito – si tratta delle Spadone, una specifica varietà che ben resiste all’attacco dell’acido acetico». Il primo utilizzo? «Quando si ammazza il maiale. La carne viene cucinata a fuoco lento nel tegame di terracotta. Durante il pranzo la si accompagna alle pere in aceto. Un connubio che rinfresca e pulisce il palato dal sapore più deciso della carne».

E ancora peperoni e pomodori. Questi ultimi vengono raccolti ancora verdi, puliti con un panno umido e conservati al buio in boccaci di acqua e aceto. «Si tratta di ricette molto semplici che pure quasi nessuno conosce più».

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