Bielorussia. La parabola Lukashenko, tra il potere e la piazza

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Ventisei anni di Lukashenko. Più di un quarto di secolo. Lo zar di Minsk, forse l’ultimo zar, sembra essersi assicurato il potere per il sesto mandato consecutivo. Ex militare, diventa presidente nel 1994 con oltre l’80% dei voti, numero fortunato che si ripeterà per tutte le successive tornate elettorali. Del ’96 il referendum attraverso il quale viene esteso il mandato del Presidente della Repubblica da cinque a sette anni; nel 2004, con un’ulteriore consultazione referendaria, vengono aboliti i limiti dei mandati presidenziali: l’ex deputato del soviet bielorusso può ricandidarsi per la terza volta consecutiva assicurandosi la vittoria. Vittoria non riconosciuta dall’OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), perché ottenuta in un ambiente non democratico, senza libertà di voto e, dunque,  non in linea con gli standard internazionali per i diritti umani.

Ma se la partita in casa sembra giocarsi senza troppi affanni, fuori dalle confortanti mura domestiche, Lukashenko è costretto a barcamenarsi tra due fuochi, su un’altalena che lo porta a tendere verso est o verso ovest a seconda delle occasioni.

Nel ’91 è l’unico deputato del parlamento bielorusso a votare contro l’accordo che prevede lo scioglimento dell’Unione sovietica e la nascita della CSI, la Comunità degli Stati Indipendenti. Nel ’96 arriva la firma dell’accordo per la creazione dell’Unione Statale della Russia e della Bielorussia, entrata ufficialmente in vigore nel 2000. Unione verso la quale Lukashenko sembrerà inizialmente favorevole, per ritrovarsi poi, a distanza di alcuni anni, a dover frenare la galoppante avanzata russa verso il sogno dell’incorporazione. L’ago della bilancia è, ancora una volta, il gas e il petrolio: Minsk è legata a Mosca da un approvvigionamento energetico del peso di ottanta punti percentuali. Nel 2006 il Cremlino annuncia un aumento del prezzo del gas per l’anno successivo, dando il via a una serie di dispute energetiche; basti pensare che prima di tale data il prezzo del gas per le ex repubbliche sovietiche era enormemente inferiore rispetto a quello fissato per i paesi occidentali, 1000 metri cubi di gas costavano alla Bielorussia solo 46$ contro i 290$ pagati dalla Germania, dal 2007 in poi le tariffe imposte dai fratelli russi sarebbero aumentate gradualmente, allineandosi, a partire dal 2011, a quelle del mercato europeo. Da qui la paura dello zar di Minsk verso una politica di incorporazione condotta da Putin, che avrebbe visto la Bielorussia cedere sotto lo scacco della sudditanza energetica. Lo scenario che sembra prospettarsi è quello della perdita del potere e la creazione di un nuovo super stato, sulle macerie dell’Urss. Sarà questa paura a portare Lukashenko a rivolgere il proprio sguardo altrove. Paura oltremodo condivisa dall’Europa e dai quanto mai così vicini Stati Uniti; ne è una chiara conferma la visita nel febbraio scorso, la prima della storia, del segretario di Stato americano Mike Pompeo, a Minsk. Visita che apre una breccia verso un’alleanza quanto meno economica: «i nostri produttori di energia sono pronti a offrirvi il 100% di ciò di cui avete bisogno, gas compreso», annuncia Pompeo. Ma il gas in Bielorussia è tutto. Sul tavolo, oltre al gas, c’è il potere, la supremazia, gli scontri geopolitici e la sovranità di uno stato, «l’ultima dittatura d’Europa», che non sa da quale parte pendere.  «Gli Stati Uniti vogliono aiutare la Bielorussia a creare il proprio Stato sovrano», ha affermato Pompeo. Oggi, a distanza di pochi mesi, è di nuovo Putin ad allungare le mani sulla fragile Bielorussia, mettendo a disposizione il proprio esercito, mentre, intanto, l’Europa teme una seconda Ucraina.

Dietro gli zar, i tiranni e i mercenari di democrazia, ci sono le piazze. Le piazze che si infiammano. Tre donne schierate contro il leader massimo. Gli arresti, i maltrattamenti e le torture: «Diventa sempre più evidente che il sangue nelle strade della Bielorussia è stato solo la punta dell’iceberg – ha dichiarato Marie Struthers, direttrice di Amnesty International per l’Europa orientale e l’Asia centrale – le persone rilasciate ci hanno raccontato di centri di detenzione trasformati in centri di tortura in cui i detenuti erano costretti a stare a terra in mezzo alla sporcizia mentre gli agenti di polizia li prendevano a calci e a manganellate. In Bielorussia è in corso una catastrofe dei diritti umani che richiede una risposta urgente da parte della comunità internazionale».

La Bielorussia è il teatro dell’assurdo, Europa e Stati Uniti da una parte, Russia dall’altra, si aspettano di guidarne la transizione, verso quali altri fronti è tutto da vedere. Intanto, a Minsk, Lukashenko ha un appuntamento con la storia. Il futuro non è più procrastinabile alle prossime elezioni.

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