Geopolitica dell’acqua

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Acqua. Due atomi di idrogeno legati, attraverso un legame covalente, a un atomo di ossigeno. L’acqua dalla quale emerse, milioni di anni fa, il primo grande continente. L’acqua che oggi ricopre più di due terzi dell’intera superficie terrestre. Ma anche l’elemento che costituisce per l’ottanta percento il corpo di un bambino appena nato. Lo stesso elemento di cui si va alla ricerca nelle esplorazioni spaziali, perché é esso, prima di ogni altro, ad essere sinonimo di vita.

Per l’acqua e senza l’acqua, oggi, si muore, si combatte, ma soprattutto si emigra.

Per conferire veridicità alla situazione attuale ci vengono incontro i dati. Oltre un quarto della popolazione mondiale vive in aree ad altissimo stress idrico. Ecco che, contrariamente da come si possa immaginare, le persone che, mossi dalla carenza d’acqua, lasciano la propria terra natia, sono il quadruplo di quelle che scappano a causa delle guerre. Nonostante ciò ai cosiddetti migranti ambientali non viene tuttora riconosciuto la status di rifugiati.

Partiamo dal Lago Ciad, che prende nome dallo Stato africano devastato da guerre e carestie. Qui la carenza d’acqua è all’origine della più grande migrazione verso l’Europa: sette milioni le persone a rischio. Dal 1963 il Lago Ciad ha perso circa il novanta percento della sua massa d’acqua. Devastanti le conseguenze per la sicurezza alimentare della popolazione, la cui esistenza è legata esclusivamente alla pesca e all’agricoltura.               José Graziano da Silva, direttore generale della FAO, sottolinea come non si tratti solo di una crisi umanitaria, ma anche di una crisi ecologica. «Il conflitto non potrà essere risolto solo con l’uso delle armi, quella nelle zone rurali del bacino del Lago Ciad è una guerra contro la fame e la povertà. La pace è un prerequisito – ha continuato da Silva – ma non è sufficiente».

Vanno sviluppandosi, dunque, i prerequisiti per vere e proprie guerre dell’acqua. Già nel 1995 Ismail Serageldin, allora vicepresidente della Banca mondiale, avvertiva: «Se le guerre del ventesimo secolo sono state combattute per il petrolio, quelle del ventunesimo avranno come oggetto l’acqua». Sarà, quindi, proprio il crescente fabbisogno di oro blu a far muovere sempre più eserciti e ad aprire tavoli di contrattazione.

I casi di tensione più forti riguardano i bacini idrici e i corsi d’acqua internazionali, cioè quelli che attraversano più Paesi. E anche in questo contesto il conflitto si giocherà tra il nord e il sud, che sia del Mondo o di un’unica regione . La posizione geografica all’interno del bacino, infatti, assume un ruolo rilevante: basti pensare che i paesi a monte sono in grado di condizionare la quantità e la qualità del flusso di acqua che raggiunge i paesi a valle, dando vita così a nuove dispute, o alimentandone di secolari.

Uno degli esempi più attuali è senz’altro dato dalla crescente tensione tra Egitto ed Etiopia. La partita si gioca su quello che fu il fiume dei faraoni, riconosciuto come tale anche da un documento del 1959 siglato dall’impero coloniale britannico, ma che nasce e scorre per il sessanta percento del suo corso in Etiopia. Parliamo del Nilo Azzurro e del riempimento della diga etiope di Gerd: dello sbarramento del tratto di fiume, da cui dipendono gli approvvigionamenti di Egitto e Sudan, nell’Etiopia occidentale. La diga farà dell’Etiopia un Paese esportatore di energia, Paese che oggi non riesce a garantire l’accesso all’elettricità a sessanta milioni dei suoi abitanti; dell’Egitto, che tra meno di cent’anni conterà il doppio dell’attuale popolazione, un enorme deserto. La trattativa riguarda i tempi di riempimento della diga, da cui dipenderà la capacità della repubblica egiziana di riassorbire le perdite idriche e, di conseguenza, agricole.

Anche la questione arabo-israeliana è collegata alle difficoltà di approvvigionamento idrico in un’area particolarmente arida. L’acqua diviene così un’arma da utilizzare contro i palestinesi: bombardamenti di infrastrutture idriche e fognarie e di una falda acquifera di scarsa qualità. È così che «il 97% dei pozzi di acqua potabile di Gaza sono al di sotto degli standard minimi di salute per il consumo umano» (Fatto Quotidiano, novembre 2018). L’acqua contaminata diviene, così, una delle principali cause di mortalità infantile.

Il problema delle acque si rende quanto mai importante in tutto il Medio Oriente. Basti citare il caso dell’Eufrate, dal quale dipende buona parte del fabbisogno in acqua e in energia idroelettrica dell’Iraq. Ma il famoso fiume ha le sue origini in terra d’Erdogan. E la Turchia dal canto suo ha in parte progettato, in parte già realizzato, un sistema di dighe, suscitando comprensibili timori nei paesi a valle, e cioè nello stesso Iraq e in Siria.

Tante e diverse le storie della geopolitica idrica. Storie che ci raccontano della sete di potere e supremazia degli Stati e di converso, della sete d’acqua dei popoli. Della mancanza di equilibri che non vogliono essere raggiunti e di sudditanze che, invece, vengono, anni dopo anni, alimentate. Storie che travalicano i confini di ogni legge morale, prima che terrena. In nome di un’economia di pochi, un’economia che non sa e non vuole guardare lontano. Guardare a tutti.

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