Il Papa a Lampedusa

Sovranismi contemporanei

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Sono passati sette anni dal primo viaggio di Papa Francesco fuori dalle porte dello Stato Vaticano. Più che un viaggio un monito. La scelta di schierarsi non solo a difesa, ma a fianco degli ultimi. Il simbolo, allora, fu Lampedusa. Allora come oggi, «la ricerca costante del volto del Signore» è tra i dimenticati. «È Gesù Cristo che bussa alla nostra porta, affamato, assetato, forestiero, nudo, ammalato, carcerato […] chiedendo di poter sbarcare».

Dietro gli inviti di Bergoglio a un esame di coscienza, la realtà. Le proteste dei cittadini di Amantea che bloccano la Statale 18. La paura e il ripudio verso l’uomo nero, ladro di donne e di lavoro, è questa volta amplificata dal Covid, in una Calabria in cui più del 30% della popolazione è a rischio povertà (rapporto Eurostat 2018). Ecco che la «necessità di garantire la piena dignità di essere così fragili», espressa dal sindaco di Roccella Jonica Vittorio Zito, si scontra con il disagio sociale, anch’esso subordinato alle speculazioni politiche. Ed è in questa ottica che la governatrice Santelli evoca il «blocco degli sbarchi», mentre Matteo Salvini rimprovera il governo che a suo dire «mette in pericolo l’Italia».

«La cultura del benessere che ci porta a pensare a noi stessi ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone». Il risultato per il vescovo di Roma è la «globalizzazione dell’indifferenza». Il risultato è il ripudio mai sanato verso il Sud del Mondo. L’alt nei confronti dello straniero invasore che scappa da una situazione di disagio, per farla semplice, e l’accoglienza a braccia aperte, senza mascherina, per il turista austriaco, che vivaddio è stata riaperta l’area Schengen. Le grida degli altri, di quello che rimane dopo la sottrazione dalla faccia dalla Terra di noi occidentali, «i soli protagonisti e i soli spettatori» che come scriveva Terzani alla Fallaci, non provano che il proprio dolore; provengono da ogni dove. 

«Tutto quello che avete fatto a uno solo dei miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me» (Mt 25,40). «Tutto quello che avete fatto» sottolinea il pontefice argentino. Di buono e di cattivo. Nella somma, tra le tante cose, ci sono i campi di detenzione libici, con le loro black room, le stanze dell’orrore in cui i prigionieri vengono torturati e filmati dalle milizie libiche per richiedere il riscatto ai famigliari. Ciò che ci giunge dall’inferno aldilà del Mediterraneo è la «versione distillata» di tutto quello che non vogliamo conoscere, troppo impegnati come siamo nella ripetizione del mantra «mai più» in riferimento all’olocausto del secolo scorso. Di quello odierno se ne preoccuperanno i posteri, a loro l’ardua sentenza. 

Nella somma complessiva, dicevamo, rientra il Memorandum Italia-Libia, e la proroga di quest’ultimo del novembre scorso. 150 milioni di euro, tra il 2017 e il 2019, con cui l’Italia ha finanziato la violazione dei diritti umani. 370 milioni, tra il 2014 e il 2019, offerti questa volta dall’Unione europea, per la «gestione delle migrazioni». 

In quel tutto ci sono le scariche elettriche nei “campi di detenzione informali”. La fame, il freddo e la malattia per quelli da noi sovvenzionati. C’è Abdul Rhaman Milad, nome di guerra Bija, capo della guardia costiera libica, che partecipa a una riunione tenutasi a Catania, su invito della Organizzazione Internazionale per le migrazioni (agenzia collegata alle Nazioni Unite), e si siede con alcuni delegati del governo italiano. Bija, che dalla stessa Onu, viene indicato come «uno dei più efferati trafficanti di uomini» e denunciato sempre dalle Nazioni Unite per essere coinvolto nell’affondamento, tramite l’uso di armi da fuoco, di imbarcazioni che trasportavano migranti. 

Da un lato un Papa che parla al popolo, rifiutando però l’ombra del populismo, dall’altro un’Europa sempre più sovranista. Un sovranismo che resta iscritto come dottrina politica solo nei trattati e nei libri di storia, ma la cui vera forza si palesa nel sovranismo psichico delle masse: «l’atteggiamento mentale caratterizzato dalla difesa identitaria del proprio presunto spazio vitale», volendo rifarci alla definizione Treccani. Il «lebensraum» di Hitler, se vogliamo un riferimento storico degno di nota. Un’ideologia che si allontana dal meccanismo Nazione – tecnocrazia europea, così difficile da comprendere, e trova spazio fertile nell’individuo, nell’uomo nuovo, assumendo, come scrive Roberto Ciccarelli nel Manifesto, «i profili paranoici della caccia al capro-espiatorio». Caccia alla quale ci troviamo a prendere parte sempre più volentieri.

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