Azienda Faruolo, la caseificazione artigianale

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La storia e il territorio

È una storia che conserva il sapore della verità e della famiglia, quella dell’azienda Faruolo. Una storia, che porta con sé antiche responsabilità e nuove consapevolezze.

Siamo nel comune di Picerno, poco più di cinquemila abitanti in provincia di Potenza. È qui, immerse nella lussureggiante flora dei Monti Li Foj, fino a 1200 m s.l.m., tra 400 ettari di bosco comunale, che le podoliche di Giuseppe Faruolo, pascolano libere.

«Sono le figlie delle figlie delle vacche che aveva mio nonno – mi spiega sorridendo Giuseppe – che a sua volta imparò il mestiere da suo padre». La seconda guerra mondiale alle spalle, il lavoro da vaccaro “a padrone” e la transumanza come estrema necessità per rispondere alla mancanza di una stalla nei mesi invernali. Poi la trasformazione del latte per conto terzi e ancora, finalmente, il boom economico e l’acquisto dei terreni e dei primi capi.

La rusticità della Podolica

È in quegli stessi anni che diviene sempre più marcata la divisione zootecnica italiana. Il nord Italia privilegia lo sviluppo di bovini da latte e da carne, mentre il sud conserva razze dalla spiccata attitudine al lavoro. Le ragioni sono da ricercarsi nell’arretratezza dello sviluppo agricolo, e dunque nella mancata meccanizzazione del settore primario. Tali fattori, assieme alle condizioni climatiche e di alimentazione particolarmente difficili, vanno a delineare il profilo della Podolica, come quello di razza principe, una risorsa importante come forza lavoro, grazie alle sue caratteristiche di rusticità, frugalità e resistenza.

«Allora, le vacche rappresentavano una forma di reddito rilevante, forse quanto un immobile – aggiunge Giuseppe – una sorta di bene rifugio, poi le cose sono cambiate. Se inizialmente furono proprio le caratteristiche di adattabilità e rusticità a favorire la capillare diffusione di questa razza, gli standard di produzione ne sancirono il declino. La scarsa attitudine alla stabulazione assieme alla produzione di latte minima ne provocarono la vistosa riduzione».

L’allevamento allo stato semi brado

Ma cosa vuol dire questo in termini pratici? «Basti pensare che i nostri capi producono circa quattro litri di latte al giorno, a differenza delle mucche da latte ad alto rendimento la cui la produzione supera i trenta litri giornalieri. A ciò si aggiunge il fatto che per i nostri animali non utilizziamo l’inseminazione artificiale, differentemente da ciò che avviene negli allevamenti intensivi, dove le mucche partoriscono un vitello tutti gli anni, affinché producano un’elevata quantità di latte. Penso che tali metodi siano semplicemente vergognosi, oltre al fatto che essi non assicurano una buona qualità del prodotto finale».

Il resto parla da sé e segue regole non scritte. «Un’alimentazione prevalentemente al pascolo, da raggiungere ogni giorno dopo una passeggiata di ben dieci chilometri, integrata da paglia e grano in base all’andamento climatico, e poi la mungitura con il vitello al fianco. Questo uno dei tanti fattori che mi ha fatto innamorare della Podolica, la spiccata propensione alla maternità, alla difesa e all’accudimento del cucciolo».

La caseificazione artigianale

Dopodiché la trasformazione. «Non facciamo ricorso né all’acciaio né tanto meno alla plastica – spiega Giuseppe – ci avvaliamo ancora di alcuni pentoloni in rame rosso che vantano alle proprie spalle due secoli di vita, di cui periodicamente rinnoviamo la stagnatura. La tecnologia di caseificazione è di tipo artigianale. Il caglio utilizzato è quello di capretto, come vuole la tradizione, mentre la lavorazione del latte e la cottura della cagliata vengono eseguite all’interno della tina in legno di acero, la quale, fungendo da serbatoio naturale di microflora batterica, esercita un ruolo molto importante nel processo di produzione. Se, infatti, è il siero a dare l’innesto, mi piace descrivere la tina come un’incubatrice, è lei a comandare la buona riuscita del prodotto».

Una dialettica di elementi perfetti che, all’età di ventisei anni appena, appassiona ed emoziona Giuseppe, un altro paio di esami e la laurea in tecnologia agraria e produzioni vegetali. A terminare il lavoro ci pensano le mani. Gli stessi identici gesti da quattro generazioni. «Pochi pezzi di caciocavallo podolico, acquistato da alcuni affezionati clienti direttamente in azienda o portato in giro per le fiere per far degustare il quanto mai apprezzato impiccato, e la manteca, pasta filata di scamorza esternamente e un dolce cuore di burro interno».

Il domani

I progetti futuri? «Il caseificio artigianale abbinato alla fattoria didattica. Il mio intento è far conoscere le tante caratteristiche di questa meravigliosa razza, oltre alla bellezza senza tempo della produzione artigianale. Ciò che mi porto alle spalle è l’immenso rispetto per i sacrifici affrontati da chi ha creduto nel mestiere del vaccaro, un bagaglio di esperienze che pur non essendo tangibile, ha per me un immenso valore, prima che affettivo, reale».

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