Cantina Giorni, dentro un calice di vino

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Vineola. Vignola. Pignola. Seppur di origine incerta, la toponomastica di questo piccolo borgo in provincia di Potenza sembra racchiudere in sé un’antica dichiarazione d’intenti che ha al proprio centro la vigna.

Siamo nell’Alta Valle del Basento, a pochi chilometri dal capoluogo di Regione. Qui, immersa tra i boschi e con sullo sfondo lo scenario mozzafiato dei monti della Maddalena, sorge Pignola, appena settemila anime arroccate ad oltre 900 m s.l.m. Il verde che degrada fino a cingere dolcemente il grazioso borgo; a valle, la Riserva Regionale del Lago Pantano di Pignola, una zona di elevato interesse naturalistico, riconosciuta come Sito d’Importanza Comunitaria (S.I.C.), Zona Protezione Speciale (Z.P.S.) e RAMSAR (Convenzione Internazionale sull’importanza delle zone umide). Oltre centocinquanta ettari per uno degli ambienti regionali a maggiore diversità biotica, con un differenziamento di nicchie ecologiche che vedono i boschi circostanti avvicendarsi alle aree coltivate, disegnando, assieme ai numerosi corsi d’acqua che tra queste terre si legano al Basento, l’ortografia dei luoghi. Una notevole biodiversità vegetale racchiusa e custodita dalla cornice del Parco Nazionale dell’Appennino Lucano.

Matriosca di ineguagliabile bellezze, Pignola cela a sé stessa, con tutta la superba umiltà di un paesino lucano, tra il verde fitto dei boschi e lo sciabordio delle acque, le sue tante anime, che pure tornano a ricongiungersi per consegnarsi, ancora una volta, alla montagna, vergine e selvaggia che, benigna, la domina e sovrasta dall’alto di un celo secco e azzurro.

Aria cristallina d’altura. Sole meridiano. Luce di mezzogiorno. Più di semplici caratterizzazioni, bensì specificità che rendono questo territorio unico, instaurando un dialogo e una confluenza tra diversi fattori. Le basi di una ricetta perfetta.

Notti di ghiaccio. Luna azzurra. Polla di acqua sorgiva. Le radici di una promessa fatta da un nipote al proprio nonno. Una promessa che guarda al futuro, quella di Nicola Patrone che, assieme al fratello Giovanni e le cugine Ornella e Giovanna, ha dato il via a una realtà eno-imprenditoriale in continua ascesa. Una realtà che ha preso le mosse dall’umile vigneto di famiglia, la cui fondazione risale all’anno 1987. Poi il rinnovamento nel 2012 e l’espansione nel 2017 entrando definitivamente nella fase commerciale.

Da allora la Cantina Giorni, dall’acronimo dei nomi dei quattro soci, non si è più fermata. Le iniziali vendite a livello locale si sono via via espanse su tutto il territorio nazionale, per poi toccare la Germania e la Svizzera, sino ad Hong Kong, con una quota del 10% della produzione. Il motore è la passione per la terra e per quel fascino irresistibile che il mondo della vinificazione porta con sé.

Sciffrà e Orneto. Queste le prime due etichette, il cui nome deriva da antiche contrade adiacenti ai vigneti. Terreni argillosi che si adagiano alle falde delle montagne di Pignola, a circa 850 m s.l.m. Sono il clima nordico e il sole del sud Italia a conferire a questi vini, figli delle consistenti bacche dal colore nero intenso del Cabernet Sauvignon, carattere ed identità. I riconoscimenti, infatti, non si fanno attendere: nel dicembre del 2019 lo Sciffrà viene insignito della medaglia d’oro nel concorso Mondial des vins extremes e la Cantina Giorni è inserita da Bibenda tra le migliori della Basilicata con 4 grappoli. Nel 2021 è ancora lo Sciffrà a vincere la medaglia d’oro al Mundus Vini di Meininger, una tra le competizioni più importanti al mondo. È negli anni successivi che nasce Plinia del Calace, ottenuto sempre da uve Cabernet Sauvignon, un rosso IGT affinato per 6 mesi in acciaio per poi riposare qualche altro mese in bottiglia prima di essere messo in commercio.

Petrucco e Tora sono figli, invece, di nuovi investimenti su vitigni a bacca bianca nell’area orientale del Friuli Venezia Giulia. Terre dal suolo calcareo e ciottoloso che assieme al clima unico per la convivenza del vento di Bora, freddo e pungente, e di Scirocco, caldo e umido, danno vita a un vino elegante e profumato. A questi si aggiunge l’Arioso, spumante brut ottenuto con metodo classico.

Sei etichette, sessantamila bottiglie e un fatturato che ha raggiunto i 250 mila euro. Dietro i numeri la passione per la propria terra, i suoi colori e i suoi odori, riflessi, come in uno specchio, dentro a un calice di vino.

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