Dentro la cultura arbëreshë: il Gugliaccio di San Costantino Albanese

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Nunzia ha cinquantasei anni e una voce viva di ragazza che si accende ancor di più di un mai sopito entusiasmo mentre mi parla di quel particolarissimo pane che prepara da oltre trent’anni. Questa storia parte dalla Val Sarmento, nel cuore del Parco Nazionale del Pollino, poco più di 600 anime ad oltre 650 m s.l.m.; intorno, montagne. Ci troviamo a San Costantino Albanese, anche se, forse, sarebbe meglio scrivere il nome di questo piccolo comune in provincia di Potenza usando l’idioma dei suoi abitanti: Shën Kostandini i Arbëreshëvet.

Questa perla incastonata nel massiccio del Pollino deve, infatti, le proprie origini agli insediamenti operati dagli esuli albanesi intorno al 1500, in seguito alla caduta della fortezza di Corone, città greca allora sotto la dominazione ottomana. È seguendo fili talora incomprensibili che la Storia, quella con la S maiuscola, a volte lontana, persino lontanissima, si dipana, si fa piccola, per giungere fino a noi, lambire le nostre esistenza e farsi soggettività reale, vera e viva. Queste le origini e questa oggi la cultura arbëreshë, un salto lungo oltre mezzo millennio che pure lascia inalterata l’identità, le funzioni religiose in rito bizantino, i costumi e la lingua, di una realtà che, conservando sé stessa, ha smesso di essere altra e si è unita alla nostra, più di 500 anni fa, tra le verdi montagne del Pollino.

La cultura arbëreshë in Basilicata non passa solo attraverso la conoscenza della storia antica, il racconto delle tradizioni, l’accensione dei pupazzi di cartapesta nella seconda domenica di maggio durante i festeggiamenti in onore della Madonna della Stella, per l’arte e per i costumi tipici. Nel loro insieme questi elementi vanno a costituire sì un inestimabile patrimonio culturale, rendendo, per altro, la comunità albanese una fonte di grande arricchimento per la Lucania intera; ma non sono tutto. Ad accrescere il bagaglio nostrano di questa piccola grande Arbëria lucana (con tale termine si indica l’insieme degli insediamenti albanesi in Italia)  ci pensa la gastronomia, a sua volta, strettamente legate ai riti e alle tradizioni di questo microcosmo locale.

Un microcosmo da preservare e condividere affinché non vada perso assieme a tutto ciò che lo caratterizza rendendolo semplicemente unico nelle sue arcaiche specificità. Sono passati più di trent’anni, dicevamo, da quando Nunzia Larocca decide di rilevare un vecchio panificio: «inizialmente fu un modo per mettere alla prova quella me che con la farina, fino a quel momento, non sapeva proprio che farci». Un duro percorso che pian piano la conduce alle porte delle anziane del paese dando il via  a quella che potremmo definire una raccolta di segreti che, se non condivisi, avrebbero rischiato di perdersi per sempre sotto la polvere del tempo. Ciò che ne deriva è la riscoperta del Gugliaccio, un dolce che arriva a San Costantino nel XVI secolo, assieme alle comunità albanesi. «Da quel momento in poi il mio obbiettivo principale è stato quello di conservare questa tradizione e farla conoscere il più possibile, anche a prezzo di non pochi sacrifici».

Un impasto di ingredienti semplici, farina, uovo, lievito madre e strutto,  ma che richiede una grande manualità. Se infatti il primo impasto può essere realizzato con l’ausilio dell’impastatrice, la lavorazione che segue, dopo circa un’ora di riposo, si effettua esclusivamente a mano. L’impasto viene diviso, formando quattro braccia intrecciate e fermate dalle rispettive mani. Quella che adesso sembra una grande ciambella viene, dunque, riccamente decorata con guarnizioni dalla forma di nidi, serpenti e uccelli. Ognuna di queste figure conserva un proprio significato: «il Gugliaccio si inserisce a pieno titolo nella celebrazione dei matrimoni arbëreshë – spiega Nunzia – in passato la preparazione era affidata alla madre dello sposo, la quale preparava questo dolce il giovedì prima delle nozze, che a Costantino Albanese si celebrano quasi esclusivamente di domenica». È una storia impregnata di simbologia e ritualità quella del Gugliaccio: gli uccelli e il nido a simboleggiare la nascita della nuova famiglia; i serpenti, augurio di fertilità  ed allo stesso tempo emblema di tutte quelle tentazioni che la coppia dovrà fronteggiare. Nunzia mi racconta il rito ortodosso: i tre giri intorno al tavolo; la formula da recitare, la condivisione del pane, quel pasto rituale assieme alla sua decisione di “nutrire”, con la sua manualità degna di un artigiano, le coppie di San Costantino; e ancora il vino nuziale e la rottura del calice vuoto: «è un segno di buon auspicio – mi spiega – guai se così non fosse». Poi torna a parlarmi di San Costantino Albanese che è «bellissima», la sua voce si fa serie e lenta, in una sola parola tutto il peso dell’amore per quel luogo che l’ha scelta e in cui lei ha scelto di vivere.   

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