Non solo miele: storia di un apicoltore

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Non solo miele, ma molto di più. È questo che emerge parlando con Nicola Coriglione, apicoltore che vive nella campagna pisticcese, laddove più di vent’anni fa ha scelto di intraprendere questa strada. Tutto prende il via, però, molto tempo prima in Toscana, precisamente a Siena, durante il soggiorno universitario: «sono sempre stato un gran consumatore di miele – confessa Nicola – ecco perché, almeno all’inizio, mi sono approcciato all’apicoltura come a un’attività hobbistica, destinata a piccole produzioni per l’autoconsumo». Qualcosa però nel corso del tempo cambia; Nicola rientra in Basilicata e convince il padre a gestire una decina di apiari che, pian piano, diventano un centinaio. Oggi se ne contano all’incirca duecentocinquanta, collocati sia in contrada Ficagnole, nel territorio di Pisticci, sia presso altre aziende biologiche e biodinamiche tra Ginosa e Castellaneta; o tra i castagneti di Tramutola e le aree incontaminate di Marsicovetere e Castelsaraceno, da cui nasce il suo Millefiori di montagna.

«Pura e semplice selezione naturale – mi spiega Nicola – le api sono le vere ed uniche artefici del risultato finale, ricavato dal nettare di tipi di fiori diversi, le cui caratteristiche organolettiche variano al prevalere dell’una o dell’altra specie». Ciò che si è ottenuto l’anno prima non è in nessun modo replicabile; quelle identiche caratteristiche; le composizioni percentuali; e la stessa produzione dei vari tipi di miele non può basarsi su una certa e monolitica programmazione, questo perché a differenza di altri prodotti alimentari di cui siamo più abituati a parlare (prendiamo come esempio il vino, i salumi o i formaggi) l’intervento dell’uomo nella produzione del miele è davvero marginale, presentandosi esso, alla fin fine, come ultimo raccoglitore di un lavoro svolto a monte dagli insetti. Un lavoro che a sua volta è in balia delle condizioni climatiche, dalle piogge ai cambi di temperatura. Un lavoro, che a differenza di tanti altri, sfugge al controllo umano, agli standard di produzione e alle diversificate richieste del mercato, e che porta a risultati sempre diversi. Se si riesce a capire questo, senza voler condizionare ad ogni costo qualcosa che naturalmente, nel senso letterario del termine, sfugge al nostro controllo, si riesce a portar avanti la propria attività in maniera sostenibile.

«La mia azienda ha ottenuto la certificazione biologica ICEA – continua Nicola – e bio per me significa molto, non solo assenza di residui. Significa anche che tutto quello che facciamo provoca differenze, e io voglio solo lasciare segni positivi sul mio territorio e sulla salute di chi mangia il mio miele». Il primo segno positivo è l’impollinazione, capire che questo sia l’originario e fondamentale prodotto del lavoro delle api, e non il miele, costituirebbe la svolta: «se l’ape scomparisse dalla faccia della terra, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita» recita la celebre e quanto mai inflazionata frase attribuita ad Albert Einstein. Ma qual è la reale e tangibile consapevolezza attorno all’innegabile ruolo ricoperto dalle api nei confronti dell’intera umanità, e dunque al mantenimento della biodiversità tutta? Quasi nulla verrebbe da credere, se si pensa che già nel 2018 l’università olandese di Delft progetta il primo prototipo di ape robot in grado di impollinare le piante nel caso in cui gli insetti veri sparissero per l’inquinamento da pesticidi. Prototipo che non si addiziona a vere e concrete prese di posizioni politiche che potrebbero, invece, fare la differenza.

«È necessario invertire le cause che hanno determinato e tutt’ora determinano la morte delle api selvatiche – continua Nicola – ecco perché l’attività degli apicoltori deve essere rivolta in primis al rafforzamento delle api, e quindi alla salvaguardia di tutta la natura». Un reddito, dunque, che non guardi alla sola sostenibilità economica, ma affondi le proprie radici in un’idea più profonda, proiettandosi dunque verso una sostenibilità ambientale e sociale, nell’ambito di una conversione responsabile di metodi, sistemi e pratiche agronomiche e più in generale di stili di vita, partendo, anche, dalle scelte d’acquisto al supermercato. Le api, d’altronde, impollinano circa l’80% del cibo che mangiamo senza chiederci nulla in cambio.

Tutto ciò è possibile e la storia di Nicola lo dimostra. Ed i riconoscimenti per il suo miele non si sono fatti attendere: lavorati presso un laboratorio realizzato con le moderne tecniche della bio-architettura, i mieli biologici di sulla e trifoglio sono stati, infatti, premiati nel 2019 nell’ambito concorso organizzato dall’Osservatorio Nazionale Miele Tre Gocce d’Oro, ottenendo una goccia d’oro ciascuno, per poi essere inseriti nella guida Grandi Mieli d’Italia. Sempre al miele di trifoglio è toccata, nello stesso anno, la medaglia d’oro nel concorso internazionale Biomiel, un’iniziativa innovativa nel settore dell’apicoltura biologica. Tra i canali di vendita i Gruppi di acquisto solidale (GAS), nelle filiere del biologico, ed ovviamente i tanti clienti affezionati.

Ai premi e alle soddisfazioni si uniscono i progetti, come quello di Mieletture, attività nata per abbinare alla produzione del miele la passione per la letteratura. Dall’organizzazione di reading in azienda agli incontri con autori famosi e non, attualmente bloccati a causa dell’emergenza sanitaria. «I progetti e le idee sono tanti» confessa Nicola che, mentre mi racconta di tutto questo al telefono, non smette di lavorare. Intanto fuori ricomincia a piovere sul proseguo di una primavera quanto mai anomala: i cambiamenti climatici, l’incertezza e la precarietà di un lavoro che è un continuo divenire; il suo che è quello della api, quest’ultimo indispensabile a tutta un’umanità.

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