La birra di miglio delle donne Dogon

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L’associazione Ganesh

La birra di miglio delle donne Dogon è una realtà antichissima, ma anche un giovane progetto. Un progetto che vuole guardare al futuro. A parlarmene, dall’altra parte del telefono, è Gennaro Cretella. Presidente dell’associazione Ganesh, Cretella, dal 2013, porta avanti una serie di progetti sia in Africa che nel subcontinente indiano, indirizzati alla risoluzione di problematiche tanto varie quanto differenti.

Poco più di venti soci in totale, corsi di fotografia ed eventi culturali per sostenere le attività dell’associazione, e «due o tre di noi – aggiunge Cretella – che si alternano in questi viaggi». L’ultimo tra febbraio e marzo di quest’anno, a Gitega, capitale del Burundi. Lo scopo della missione? La realizzazione di un pollaio e la coltivazione di legumi ad alto tenore proteico nei pressi di un orfanotrofio.

«Quattro zaini pieni dell’occorrente minimo per iniziare il progetto e quattro settimane in tutto a disposizione. Una faticosa ricerca dei materiali necessari, a piedi, lungo i saliscendi della capitale, a 1500 metri sul livello del mare». Un lavoro febbrile e tenace.

L’incremento della fertilità del suolo, con le colture da sovescio, e l’avvio di coltivazioni dall’elevato apporto proteico, per riequilibrare la dieta della popolazione; i principali obbiettivi perseguiti. «Il ritorno è previsto alla fine di settembre, per intraprendere un progetto cominciato in Mali nel 2016, nella terra dei Dogon».

La terra dei Dogon

I Dogon sono un leggendario popolo del Mali, che ha incantato, all’alba degli anni Trenta, il fior fiore di antropologi e studiosi francesi. Nel 1989 l’Unesco ha inserito il territorio dei Dogon nella lista dei siti Patrimonio dell’umanità. Quella terra, una volta presa d’assalto da una miriade di turisti occidentali, è oggi sprofondata in una crisi di insicurezza politica ed umanitaria.

«Prima di partire, lessi che in Mali veniva prodotta una birra particolare. Fatta col miglio. La prima sera la passammo a Djenné, dove ci venne offerta. La prova fu deludente, con un sapore simile all’aceto. Ci fu spiegato che per trasportarla fin lì ci erano voluti giorni, mentre questa non poteva conservarsi oltre le 72 ore. Riassaggiata nel mercato di provenienza l’esperienza fu molto più piacevole».

Dal miglio al corso di birrificazione

Ma perché il miglio? «Il miglio, assieme al sorgo, è la base dell’alimentazione in Mali. Viene coltivato ovunque, poiché è una fonte di nutrimento molto importante. Sono in genere le donne ad occuparsi della trasformazione della materia prima in bevanda».

Il processo è rudimentale e non assicura le più basiche forme di sicurezza alimentare. Il cereale viene bagnato e fatto germinare. Successivamente viene bollito in grandi pentoloni. Alla sostanza zuccherina estratta si aggiunge un lievito naturale, generalmente ottenuto dalla fibra del baobab. Tale lievito non riesce, però, a completare la trasformazione in alcool di tutti gli zuccheri presenti. Da qui il sapore dolciastro della birra, la presenza bassissima di anidride carbonica e il tenore alcolico molto basso.

Donne misurano la temperatura del mosto

Da qui l’idea di avviare un corso di birrificazione, al fine di poter imbottigliare la birra, assicurarle una lunga conservazione, eliminando le varie problematiche di inquinamento batterico. «Conferire a quel prodotto un valore commerciale più alto, questo essenzialmente l’obbiettivo attorno a cui ruotava il progetto. Una reale opportunità di sviluppo attraverso una delle produzioni più tipiche e caratterizzanti».

La situazione attuale in Mali

Una grande accoglienza e il massimo coinvolgimento di tutta la comunità. Poi il covid, e i due recenti colpi di Stato. «La situazione attuale non ci permette, al momento, di ritornare. Nel frattempo porteremo avanti il progetto in Burundi». Senso pratico e fattività. Il tempo che corre e non lascia spazio per fermarsi.

La falesia di Bandiagara solca da millenni l’altopiano sub-sahariano, una frattura di oltre duecento chilometri che corre da sud a nord. Una ferita aperta nel cuore rosso dell’Africa. Il controllo delle risorse naturali e minerarie (oro, gas naturale e petrolio), assieme a quello delle rotte del narcotraffico e della tratta degli esseri umani, sono la causa di una sempre maggiore militarizzazione del Paese. Il seme di conflitti sanguinari che hanno fatto tornare questa terra, assieme al Niger e al Burkina Faso, sullo scacchiere geopolitico mondiale.  

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