allevamento suino nero lucano

Brigante lucano: la Basilicata al salone del gusto di Torino

Brigante Lucano

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Tradizione, territorio e resistenza. Si parla anche e soprattutto di questo al salone del gusto di Torino, e di come il concetto di sostenibilità di un cibo sia legato a doppio filo a quelle che sono le istanze attuali, tanto sociali quanto economiche, che un territorio porta con sé.

Il passo successivo è il legame tra il prodotto e il luogo in cui questo va a svilupparsi. Un rapporto storico e culturale, che da il la per il racconto di una comunità e la salvaguardia delle sue conoscenze. L’anello di questa catena? Un’imprenditorialità che sappia accogliere e portare avanti questo bagaglio ancestrale, immettendolo in un circuito buono, pulito e giusto, dove la monetizzazione non la faccia da padrona.

Questo è ciò che ci racconta una realtà giovane, determinata a rilanciare il proprio territorio attraverso il recupero di un’antica razza autoctona, quella del suino nero lucano, un animale rustico, di taglia medio-piccola, afferente al ceppo apulo calabrese, diffusissimo sino a metà dell’ottocento e che ha rischiato di estinguersi riducendosi a pochissimi esemplari.

«Il recupero e la valorizzazione della razza, assieme al rilancio del territorio che la ospita, sono gli obbiettivi che Brigante Lucano si è posto sin dalla nascita, nel 2015» mi spiega con la voce entusiasta e carica di emozione Silvia Bureanu, che da ormai cinque anni è entrata a far parte di quel progetto coraggioso e innovativo intrapreso dal compagno Antonio Avigliano e dal fratello di lui, Giuseppe.

«Attualmente la nostra azienda conta 120 capi totali, allevati allo stato semi-brado su circa venti ettari di boschi di querce e macchia mediterranea, alle pendici del monte Cenapora, nella splendida cornice di Vaglio Basilicata. Per i primi giorni di vita i maialetti rimangono nella stalla, successivamente allo svezzamento, alcuni animali vengono scelti per la riproduzione, gli altri vengono castrati per evitare l’accoppiamento con i cinghiali e preservare la purezza della razza».

L’alimentazione? Completamente naturale. «I maiali sono liberi di pascolare, nutrendosi di ghiande, radici ed erbe spontanee. Noi ne incrementiamo l’alimentazione con farinacei biologici certificati privi di glutine e lattosio, per andare incontro alle esigenze di tutti i consumatori».

La linea perseguita è quella del km 0, con una produzione di tutto ciò che occorre limitata all’interno dell’azienda o affidata a stretti collaboratori esterni.

A fare il resto del lavoro ci pensa il tempo. Un tempo che non può farsi flessibile per assecondare le esigenze economiche del mercato, ma che va, semplicemente, “aspettato” sulla base di quello che la natura richiede.

Il suino nero, infatti, è caratterizzato da un accrescimento molto lento, che fa slittare la macellazione a 22 mesi, anziché 14, come succede per le atre razze. Macellazione che avviene in un arco di tempo ristretto, che va da novembre a febbraio, garantendo in questo modo, non solo un’eccellente ricambio generazionale dell’allevamento, ma una produzione di quantità davvero modeste, con una selezione attenta e accurata. Il tutto si conclude con la stagionatura, variabile in base al prodotto, completamente naturale, che avviene senza l’uso di celle a ventilazione forzata all’interno di grotte e cantine sotterranee, di cui Vaglio è ricco.

«Ad oggi la nostra linea comprende il salame pezzente, del brigante o del borbone, quest’ultimo si differenzia dal primo per l’aggiunta della cotica – spiega Silvia – la soppressata, la lucanica dolce o piccante e il capocollo all’Aglianico, una vera chicca che otteniamo macerando l’insaccato per sessanta giorni nelle vinacce del vino da noi prodotto. Gli unici conservanti sono il sale, il finocchietto selvatico, la polvere di peperone crusco e l’aria fresca di montagna».

Il risultato è un prodotto eticamente sostenibile, ottenuto senza accelerare alcun processo, ma che rispetta nei tempi e nei modi le esigenze della natura e la dignità degli esseri che la abitano. Un prodotto che diviene ambasciatore, oltre i confini locali, di riti e gesti antichi, di un rispetto per il tempo organico e naturale che altrimenti andrebbe perduto.

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