Il Canestrato di Moliterno: etimologia di un successo

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I nomi dei luoghi non sono quasi mai messi a caso. Essi possono raccontare alcuni tratti caratteristici di un paese; come le sue vie si arrampicano tra gli speroni della montagna o scendono dolci sulle coste della collina. I nomi possono essere simbolo di una personalità collettiva che vuole raccontarsi semplicemente presentandosi o possono farsi testimoni di una storia e una cultura millenaria. Questo ultimo caso è forse quello di Moliterno: una facile etimologia farebbe, infatti, risalire il nome di questo piccolo borgo lucano al suo castello, e più specificatamente alla sua torre merlata, che si suppone, fosse stata detta, “Moles aeterna”. Volendo attenersi ad altre fonti, invece, il nome deriverebbe da “Moli-termos”, luogo appena caldo, in riferimento al clima mite del posto. In ultimo, lo storico Giacomo Racioppi, ricollega l’origine del nome al termine latino mulctrum,  da mulgere (mungere), che combinato con il suffisso ernum (luogo), va a formare mulct-ernum: “luogo dove si munge e si coagula il latte”. Tutto ciò va ad avvalorare l’importante quanto antichissima tradizione pastorale del comune potentino, ed il considerevole fattore economico che l’allevamento, principalmente ovino, ha sempre ricoperto tra queste montagne.

Radici etimologiche, appunto, che ci parlano di una terra di pastori, una terra il cui fiore all’occhiello, ormai conosciuto ben oltre i confini regionali, è il Canestrato di Moliterno; un prodotto con alle proprie spalle anni di storia: testimonianze del IV sec., conservate presso il Museo Archeologico Nazionale di Grumento Nova, mostrano, infatti, come questo formaggio fosse già conosciuto anticamente, sebbene i primi scritti attestanti l’esistenza del prodotto risalgano soltanto all’inizio del ‘600.

Oggi, questo pregiato formaggio a pasta dura di forma cilindrica e con un peso variabile dai 2 ai 5 kg, non solo rientra nell’Arca del Gusto Slow Food, ma si fregia del marchio IGP. La zona di produzione del Canestrato, prodotto tutto l’anno utilizzando latte proveniente da greggi alimentate principalmente al pascolo, interessa in tutto sessanta comuni, 46 facenti parte del capoluogo di regione e 14 in provincia di Matera. Il 70-90% del latte utilizzato è di pecora: gli ovini appartengono alle razze Leccese, Sarda, Comisana, Gentile di Puglia e Gentile di Lucania, quest’ultima è la più diffusa sul territorio regionale ed è la risultante di incroci tra pecore autoctone e arieti Merinos spagnoli, effettuati a partire dal XV secolo. Il restate 30-10% del latte proviene, invece, da capre di razza Garganica, Maltese, Jonica e Camosciata.

La materia prima di una o più mungiture viene trasformata entro 48 ore. Dopo la coagulazione, ottenuta aggiungendo caglio di agnello o di capretto e portando il tutto ad una temperatura di 40°C per circa mezz’ora, la cagliata viene rotta in granuli delle dimensioni di un chicco di riso e, una volta estratta dal siero, è posta nei canestri, che conferiscono alla crosta la tipica striatura, da cui il nome del formaggio. Le forme, sottoposte a salatura, sono fatte asciugare per poco più di un mese prima di essere trasportate nei locali di stagionatura, fase che ha luogo esclusivamente all’interno dei fondaci. I fòndaci, dall’arabo funduq, ossia magazzino, sono i tipici locali al pian terreno dei palazzi nobiliari di Moliterno in cui avveniva la stagionatura del formaggio. Testimonianze tangibili della più moderna forma di archeologia produttiva che ha consentito tra l’altro la perpetrazione di antichi schemi artigianali. La tipologia costruttiva a due o tre arcate, con il pavimento inclinato per consentire lo scolo della salamoia, assieme alla concomitanza di vari fattori, determina la formazione di quel particolare microclima indispensabile per ottenere un prodotto qualitativamente eccellente.

In base alla durata della stagionatura il Canestrato di Moliterno IGP si distingue in Primitivo, stagionato fino sei a mesi; Stagionato ed Extra, rispettivamente fino ad un anno e oltre un anno. Il risultato è una pasta compatta che al taglio si presenta di colore bianco o paglierino a seconda della stagionatura, con un sapore più dolce nel formaggio fresco che evolve verso caratteristiche organolettiche più accentuate, con un sapore forte, aromatico e piccante in quello più maturo. Resta da sottolineare che ogni lotto di produzione è caratterizzato da un sapore non sempre uguale:  ciò è dovuto alla variabilità dei pascoli con riferimento all’area di provenienza ed alla stagione che dona ogni volta colori e profumi diversi al formaggio, per regalare a chi lo gusta un’esperienza unica ad ogni assaggio.

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