Slow Food Magna Grecia per il 25 aprile: Pane e Liberazione

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«I sogni dei partigiani sono rari e corti, sogni nati dalle notti di fame, legati alla storia del cibo sempre poco e da dividere in tanti: sogni di pezzi di pane morsicati e poi chiusi in un cassetto. I cani randagi devono fare sogni simili, d’ossa rosicchiate e nascoste sottoterra».

Così, Italo Calvino, ne Il sentiero dei nidi di ragno, racconta di poveri pasti consumati in fretta; della difficoltà pratica nell’approvvigionamento quotidiano delle risorse; dei morsi della fame, ma soprattutto della condivisione che pure tra questi riusciva a farsi spazio, in un’attesa, mai passiva, di una libertà certa e duratura. La stessa parola compagno getta le proprie radici nel fertile terreno della condivisione: derivata dal latino medioevale companio, composto da cŭm, “con” + pānis “pane”, indica propriamente “chi mangia il pane con un altro”. L’etimo del termine rimanda, dunque, al gesto principe che ha permesso nel tempo la sopravvivenza stessa della razza umana: la condivisione del pane. Gesto che travalica le logiche di solidarietà, inserendosi in una più razionale idea di comunità, dove ciò non solo è giusto, ma si rende oltremodo necessario in una società che intende definirsi libera e civile.

La storia della Resistenza passa anche da qui: dalla fame dei partigiani e dal desiderio di poter tornare a mangiare lentamente; dalle patate alle castagne bollite come unica fonte di sostentamento e da quei contadini che coraggiosamente nutrirono e saziarono il più elementare bisogno umano, mettendo a disposizione di quei giovani combattenti il poco cibo sottratto al razionamento, a rischio della loro stessa vita. È il profumo dei quasi quattrocento chili di pasta al burro che i fratelli Cervi, nel luglio del 1943 (pochi mesi prima di essere fucilati per rappresaglia) offrirono a tutto il paese di Campegine per festeggiare la caduta di Mussolini. È la storia di un’Italia stanca e denutrita dalla guerra che pure accoglierà, tra il ’45 e il ’52 i figli di un Sud malarico e oppresso dalla fame, con l’iniziativa dei Treni della felicità.

Ecco che il concetto di condivisione del cibo si inserisce all’interno di questa Storia come un vero e proprio gesto politico: basti pensare che quello stesso cibo poteva essere venduto al mercato nero, anziché offerto mettendo a rischio anche la propria incolumità. Ed è proprio, dunque, attraverso la comunione di beni primari e fondamentali che è stata tracciata la strada verso la Liberazione.

Ancora oggi parlare di centralità e di diritto al cibo significa dire qualcosa di eminentemente politico, poiché quanto mai prima diviene quasi banale poter affermare che la fame sia a tutti gli effetti un prodotto dell’uomo, e in quanto tale affrontabile solo attraverso scelte politiche, economiche e sociali che solo l’uomo, come animale razionale, può compiere. Passa da tale consapevolezza la definizione di diritto all’alimentazione, esplorata dall’Alto Commissario per i Diritti Umani che ha individuato alcuni obblighi per gli Stati:

  • l’obbligo di rispettare, ovvero di non interferire con i mezzi di sussistenza dei loro cittadini e con la loro capacità di provvedere a se stessi;
  • l’obbligo di proteggere, che implica la costituzione di un sistema di regole relative alla sicurezza alimentare, alla protezione dell’ambiente, al possesso della terra;
  • l’obbligo di attuare, e quindi di consentire, attraverso politiche adeguate, l’accesso dei più deboli alle risorse o, in casi estremi, un’assistenza diretta che consenta perlomeno la libertà dalla fame.

«Basterebbe il primo obbligo – documento congressuale Slow Food 2012-2016 – per dichiarare dannoso il sistema agroalimentare di stampo industriale determinato negli ultimi sessant’anni dall’organizzazione internazionale dei mercati». Ecco che la giusta e sana condivisione del cibo segna ancora una volta, l’unica strada percorribile verso un altro tipo di liberazione, di cui troppo spesso si finge di ignorarne la quanto mai urgente e improcrastinabile necessità: «Quella dei consumatori di cibo è una “non categoria”: le azioni che hanno come obiettivo i consumatori di cibo sono dirette a tutto il genere umano. Per questo sono azioni politiche per eccellenza. Oggi si pensa ai consumatori come a coloro che “comprano” il cibo, ma se il cibo interessa solo in quanto viene venduto e acquistato (divenendo competenza delle politiche economiche, e non della politica in sé) si perde di vista il cibo come diritto. Ciò che è essenziale alla sopravvivenza, invece, è parte della sfera dei diritti».

 

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